“Rev. Madre,
sono persuaso che il suo cuore sensibile mi ha compatito: straziato dalla commozione alla vista dell’afflitta mia madre, non ho saputo rivolgerle una parola che esprimesse gratitudine. Ma poi è d’altronde possibile ringraziare per benefici come quello che lei mi ha fatto? Io non so concepirlo, e penso che solo Iddio può ricompensare la sua benevolenza a mio riguardo. Lei ha coronato oggi ogni mio desiderio; la visita di mia madre ha posto fine alla mia angoscia, ed ora altro non desidero che servire Gesù Cristo e per Lui sacrificarmi.
I miei occhi si sono aperti; io ammiro la squisita delicatezza del Creatore pei suoi figli; Il suo amorevole e sapiente operare. Riconosco nel trovarmi in questo luogo la mano divina e, guardando nella mia coscienza, vedo quanto giusto e necessario era per me questo carcere solitario per prepararmi a migliori destini. Qui, lontano dal mondo, a mio agio, rifletto sulle vicende umane; qui ognuno agisce senza curare di mascherare le proprie azioni; e i vizi e le miserie umane mi si rivelano con una spaventevole verità, ed io prendendo argomento dei difetti altrui, correggerò i miei ed ogni giorno lavorerò la mia anima per renderla degna dell’Amore Infinito.
Oh qual gran libro di filosofia è il carcere! Quanto sono fortunati coloro che l’hanno tra mano e ne approfittano. Quanto da rimpiangere quelli che non sanno, non vogliono leggerlo! Avevo letto nei libri dei filosofi di diffidare della natura umana, allora ero in preda al delirio e derisi i filosofi. Adesso arrossisco della stolta presunzione, e se Dio volesse ancora gettarmi tra le miserie dei viventi, oh come volentieri verserei il mio sangue per testimoniare agli uomini la loro vergogna d’essere cotanto attaccati agli illusori piaceri del mondo…
Dopo la visita di mia madre ho pregato con un fervore tale ch’io stesso ne sono stato sorpreso, ed ora desidero ardentemente di poter fare la Comunione. Mi raccomando al Sacro Cuore.”
Umilissimo –Cerafisi
Si firmò col cognome “Cerafisi”, senza vergognarsi di svelare la sua identità, e certo non immaginava che a distanza di un secolo quella sua lettera sarebbe stata messa agli atti, a testimonianza della santità di una donna italiana: santa Francesca Saverio Cabrini. Era un ergastolano italiano a New York, mentre lei, lombarda, aveva fondato, nel 1880, la prima congregazione di suore missionarie (completamente autonome da rami maschili) che operavano con carità, spirito e intelligenza a favore dei nostri emigranti in America. Solo per far capire la potenza di fede di questa donna, fondò dal nulla 67 istituzioni, tra scuole, orfanotrofi, centri di formazione, e non ultimo il Columbus Hospital di New York, che per tutto il XX secolo fu un ospedale all’avanguardia. Si occupavano degli orfani, degli ammalati, dei minatori, dei condannati a morte. Alcuni, incarcerati ingiustamente, furono aiutati dalle suore a essere scagionati, mentre altri, condannati per reati commessi, furono sostenuti perché potessero approfittare di quei giorni di prigionia per trovare la vera libertà…
Ed ecco la lettera che “Cerafisi” scrisse a Francesca Cabrini la quale, con una carità immensa, aveva fatto venire dall’Italia l’anziana madre per incontrarlo.